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Coperta “Banchieri”

Banchieri

Pagine: 160

La crisi economica scoppiata nel 2008 con il fallimento della banca d'affari americana Lehman Brothers sembra non avere fine, in Italia come nel resto d'Europa: nonostante i governi e gli economisti si arrovellino sulle misure da adottare, le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta, i consumi crollano. E la responsabilità della recessione in corso è stata addossata, di volta in volta, al mercato dei mutui statunitensi - i famigerati «subprime» -, allo strapotere della finanza, al peso schiacciante del debito pubblico. Cambiando decisamente prospettiva, Federico Rampini non si chiede a «che cosa» imputare la colpa ma piuttosto a «chi», e senza alcuna esitazione afferma: «I banchieri sono i grandi banditi del nostro tempo. Nessun bandito della storia ha mai potuto sognarsi di infliggere tanti danni alla collettività quanti ne hanno fatti i banchieri».
Dall'osservatorio privilegiato degli Stati Uniti, dove la crisi ha avuto inizio, Rampini racconta chi sono i banchieri di oggi, come abbiano potuto adottare comportamenti tanto perversi, assumersi rischi così forti e agire in modo talmente dissennato da provocare un'autentica Pearl Harbor economica, sprofondando l'Occidente nella più grave crisi degli ultimi settant'anni. E tutto questo, contando sempre sulla certezza dell'impunità. A pagare i loro errori sono infatti i cittadini dei paesi sulle due sponde dell'Atlantico, e il prezzo è altissimo: crescenti diseguaglianze, precarietà del presente, paura del futuro. È anche alle loro «piccole» storie che Rampini rivolge lo sguardo, le storie di chi deve affrontare ogni giorno i pesanti e spesso umilianti cambiamenti di stili e condizioni di vita indotti dalle spericolate manovre dell'«alta finanza». Perché, se le risorse impiegate per salvare gli istituti bancari sono immense, ben poco i governi hanno fatto per l'economia reale, sotto forma di crediti agevolati alle famiglie o alle imprese, che ne hanno bisogno per consumare, investire, assumere. Eppure, afferma Rampini, forse una via d'uscita da questo tunnel apparentemente infinito esiste, ed è quella indicata dal presidente Obama con il nome di «resilienza». Cioè la capacità di resistere agli shock, di risollevarsi e di ritrovare un equilibrio, indirizzando ogni sforzo verso l'attuazione di politiche che sappiano arginare gli «spiriti animali» del mercato e investire invece nell'istruzione, nella riqualificazione professionale dei disoccupati, nelle reti di protezione sociale, nella ricerca scientifica. Che è poi l'unico modo per insegnare alle nuove generazioni come crescere in un mondo destinato a un perpetuo squilibrio.
Pubblicato da: Mondadori

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